Studiare le interazioni fra l’organismo e il cibo in modo approfondito
- Elena Ferrero
- 2 nov 2017
- Tempo di lettura: 2 min
Per secoli abbiamo cercato di pulire e raffinare tutte le fonti di cibo di origine vegetale, affinché fossero il più possibile energetiche e adatte ai processi produttivi a cui erano destinate. I chicchi dei cereali sono così stati trasformati in farine sempre più candide e fini, raggiungendo una purezza che oggi sappiamo significare impoverimento. Il moderno cibo iperlavorato e iperraffianto non ha fatto altro che ingrassare i corpi, senza nutrirli più di tanto. Con l’incedere delle patologie dell’era moderna - obesità, patologie cardiovascolari e neoplasie - l’interesse scientifico ha rivolto sempre di più la propria attenzione verso la ricchezza delle materie prime impiegate un tempo, comprendendo che quel superfluo - che si disprezzava e si strappava via con foga e macchinari - era la parte più preziosa, quella che oggi più manca ai nostri corpi, adagiati nell’eccesso di energia e nel difetto di nutrimento.

Diversi studi stanno oggi valutando le potenzialità dei frumenti pigmentati (varietà di grano caratterizzate da colori per noi inusuali - dal rosso, al giallo, al blu, al viola, ecc. - ricchi di pigmenti naturali antiossidanti) e in particolare di alcune delle loro frazioni più nutrizionalmente interessanti, quelle che il tradizionale processo di molitura dirottava all’alimentazione animale, come la crusca. L’obiettivo è quello di migliorare la qualità dei prodotti e talvolta creare veri e propri “alimenti funzionali”, caratterizzati da attività positive per la salute dell’uomo. Ulteriore obiettivo della ricerca è non limitarsi ad affermare che il prodotto creato “può essere fonte di composti benefici”, ma testare quanto effettivamente di queste micro-sostanze rimane nell’organismo umano in seguito al processo che ogni alimento che introduciamo nel nostro corpo subisce: la digestione. Finora non molto utilizzato, il processo di digestione enzimatica in vitro, ha questo ambizioso obiettivo. Tale complesso procedimento cerca di simulare in laboratorio il più precisamente possibile tutti i fenomeni che avvengono nel nostro corpo durante la digestione del cibo: dalla produzione di enzimi e sali, ai cambiamenti di pH, alla temperatura, al passaggio graduale del cibo da un compartimento all’altro del tratto gastro-enterico. In particolare, il processo comprende tre fasi: la fase orale (che simula l’attività umidificante e lubrificante della salivazione e la masticazione del cibo per una durata di 2 minuti), la fase gastrica (che riproduce l’attività succhi gastrici e dell’enzima pepsina durante un rimescolamento continuo per un tempo di 2 ore) e la fase intestinale (che imita l’attività dei succhi pancreatici, dei vari enzimi e della bile prodotta dal fegato, il tutto nuovamente sottoponendo il bolo a un rimescolamento continuo per un tempo di 2 ore). I risultati dei – finora pochi - studi di digestione enzimatica in vitro sui cereali suggeriscono che la quota di antiossidanti rilasciata nell’intestino umano potrebbe essere molto maggiore di quella riportata dai precedenti dati di letteratura, basati solo su semplici estrazioni chimiche.
Articolo riguardante la mia tesi di laurea magistrale e scritto per "La pagina dei saperi" de "La voce e il tempo"
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