Ultimi aggiornamenti sulla terapia dietetica del Crohn
- Elena Ferrero
- 3 apr 2018
- Tempo di lettura: 6 min
Forse vi sarà già capitato di sentir nominare il Morbo di Crohn, patologia che fa parte delle “Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali”, più spesso nominate con il termine inglese di Inflammation Bowel Diseases (IBD). Si tratta di patologie multifattoriali complesse, che si sviluppano in soggetti geneticamente predisposti, tutte caratterizzate da infiammazione cronica e recidivanza dei sintomi. Sono malattie che interessano già i piccoli pazienti: almeno un quarto (ma in alcune casistiche anche il 40-50%) di tutti i casi di IBD, infatti, esordisce nel bambino e nell’adolescente.

L’incidenza del Morbo di Crohn è in aumento nel mondo (attualmente si attesta su 4-4,5/100.000 casi/anno), soprattutto nei Paesi in via d’industrializzazione e questo suggerisce che i fattori ambientali siano cruciali nel determinare lo sviluppo della malattia. I possibili fattori ambientali protettivi o predisponenti delle IBD possono agire già dall’infanzia: tra i primi si segnalano l’allattamento al seno (se proseguito oltre i 3 mesi) e l’appendicectomia precoce, tra i secondi le infezioni ricorrenti e l’uso dei farmaci antinfiammatori non-steroidei. In particolare, il fumo di sigaretta è un noto fattore di rischio che interessa esclusivamente il Morbo di Crohn.
Il Morbo di Crohn è caratterizzato da un processo infiammatorio cronico che può colpire qualsiasi tratto del sistema gastrointestinale, dalla bocca al retto, con sintomi estremamente variegati. Nell’80% dei casi la malattia esordisce con dolore addominale, diarrea, riduzione dell’appetito e perdita di peso. Tali sintomi sono determinati proprio dall’infiammazione dell’intestino, soprattutto se è interessato il tenue, che provoca una riduzione della superficie della mucosa adibita all’assorbimento dei nutrienti e quindi malassorbimento. Tutto ciò si associa a un aumento del dispendio energetico del corpo, causato sempre dall’infiammazione. Inoltre, micro-sanguinamenti intestinali (che spesso permettono di sospettare la malattia tramite il ritrovamento di sangue nelle feci) possono alla lunga portare ad anemia. Ma vi sono anche manifestazioni (sempre causate dall’infiammazione) che non coinvolgono l’intestino, come artrite e artralgie. Inoltre, si associa frequentemente una difficoltà nella mineralizzazione dell’osso, dunque un aumentato rischio di osteoporosi (si tenga conto il 10-14% dei giovani e oltre un quarto degli adulti con IBD presenta una ridotta densità ossea) (2).
Tutte le IBD sono caratterizzate da alternanza di una fase attiva (con sintomi) e una fase di remissione (di normalità). La terapia del Morbo di Crohn ha proprio l’obiettivo di ottenere la remissione e possibilmente evitare la dipendenza prolungata da farmaci cortisonici (che nel lungo periodo hanno serie conseguenze per l’organismo), la guarigione delle lesioni intestinali, il miglioramento dei sintomi, il mantenimento di un buon stato nutrizionale e qualità di vita. La terapia farmacologica è essenziale in tutto questo, ma che ruolo ha la dieta?
Le persone affette da IBD hanno un rischio maggiore, rispetto al resto della popolazione, di sviluppare malnutrizione, è per questo che è di fondamentale importanza che siano adeguatamente seguite da un punto di vista nutrizionale. A tal scopo, le recentissime Linee Guida ESPEN del 2017 raccomandano la presenza di un dietista o di un nutrizionista specificatamente formati sulle IBD nel team multidisciplinare dedicato. Trattare un’eventuale stato di malnutrizione è essenziale, in quanto essa si associa a una prognosi peggiore, a una maggiore probabilità di complicanze e a una minore qualità di vita. Si pensi solo che circa il 75% dei pazienti con Morbo di Crohn che accedono alle cure ospedaliere è malnutrito e che il 33% ha un Indice di Massa Corporea minore di 20 kg/m2 (cioè ha un peso corporeo inferiore a quello ideale).
Che dieta deve seguire, quindi, una persona affetta da Morbo di Crohn? Partiamo dalla base: il fabbisogno energetico totale, in altre parole, le calorie. Questo non è diverso da quello della popolazione, dunque non è necessario sforzarsi di fare diete ipercaloriche per la paura di perdere eccessivamente peso né al contrario effettuare restrizioni caloriche, a meno che non sia presente una condizione di obesità. Maggiore, rispetto alla popolazione sana, è invece il fabbisogno proteico, il quale, nella fase di attività della malattia, si aggira fra i 1,2 e i 1,5 g di proteine pro chilo di peso al giorno negli adulti. Questo significa che una persona di 70kg, dovrà avere una dieta che comprenda circa 85-100g di proteine al giorno: per questo carne, pesce, uova e formaggi stagionati devono ritrovarsi frequentemente nell’alimentazione di chi ha il Morbo di Crohn. Questo poiché chi ha un’IBD tende a sviluppare nel tempo una relativa riduzione della massa muscolare e un aumento invece di quella grassa. Ciò può essere dovuto sia a una dieta cronicamente povera e restrittiva, ma anche a un turnover proteico aumentato e alla perdita intestinale di nutrienti durante la fase attiva della malattia, o ancora a causa delle terapie farmacologiche. Per lo stesso motivo, è di ottimo aiuto l’attività fisica regolare. Quando, invece, la malattia è in fase di remissione, il fabbisogno proteico torna a essere simile a quello di un soggetto sano (1 g/kg/giorno). Di fondamentale importanza è poi controllare (almeno una volta all’anno) di non avere carenze di micronutrienti (cioè di vitamine, soprattutto la D, e minerali, soprattutto ferro, calcio e zinco) e che quelle eventualmente riscontrate vengano prontamente corrette. Questo poiché le IBD in fase attiva espongono a un maggiore rischio di avere deficit di micronutrienti: prima di tutto a causa di una maggiore perdita con la diarrea, ma anche per un’assunzione inadeguata causata dalla mancanza di appetito che può accompagnarsi alla fase attiva della malattia. A questo scopo può essere utile l’assunzione di integratori vitaminici o di minerali specifici. Quando è presente diarrea, sarà opportuno seguire una dieta priva di fibre e lattosio, poiché potrebbero aggravare il sintomo. Andranno quindi escluse tutte le verdure, la frutta, i legumi, i prodotti integrali, latte, latticini e ogni preparazione in cui sono presenti. Tali alimenti dovranno poi gradualmente essere reintrodotti nella propria dieta appena i sintomi siano scomparsi (a meno che non vi siano stenosi intestinali), in quanto questi alimenti sono fondamentali per avere un’alimentazione sana. Solitamente, per la frutta, è meglio reintrodurre inizialmente la banana, la mela e la pesca (sbucciate) e, per la verdura, la patata, la carota, la zucchina e la zucca. Successivamente si potranno reinserire tutte le verdure, la frutta e i legumi, meglio se all’inizio ben cotti e passati al setaccio. Si potrà poi con cautela procedere con i legumi interi, la frutta e le verdure crude, ponendo particolare attenzione a quelle molto ricche di fibre indigeribili o contenenti semi, secondo la tolleranza individuale.
Purtroppo, ad oggi non è ancora stato individuato un tipo di probiotici – che invece nella popolazione sana sono assai benefici per la salute intestinale - che si sia dimostrato utile al trattamento della fase attiva del Morbo di Crohn. Stesso discorso vale per le supplementazioni con acidi grassi omega-3. Sebbene su internet si trovi di tutto e di più, infatti, ad ora non esiste una “dieta per le IBD” che abbia dimostrato di essere efficace nel promuovere la remissione dalla fase attiva. Si stanno attualmente studiando diverse diete (dalla ipoglucidica, alla paleolitica, alla gluten-free, alla low FODMAP, a quella arricchita di omega-3), ma finora solo i farmaci sembrano essere efficaci nell’induzione della remissione. Questo però non prelude l’esigenza, per tutte le persone con un’IBD, di ricevere un attento consulto nutrizionale individualizzato, basato sulla propria specifica situazione. Ad esempio, spesso anche nella fase di remissione si riscontrano “intolleranze” individuali a particolari cibi, che provocano fastidi: i più comuni sono il lattosio (andranno quindi evitati il latte, i formaggi freschi, le creme, i dolci e i gelati a base di latte), le spezie e le erbe aromatiche (che possono determinare irritazione delle mucosa intestinale e bruciore), gli alimenti fritti, i vegetali ricchi di fibra e che tendono a produrre gas intestinali (soprattutto legumi, cavoli, cavolfiori, broccoli, sedano, asparagi, aglio, peperoni, porri, barbabietola, uva passa, albicocche, prugne, anguria, pistacchi, anacardi, crusca e prodotti integrali). La cosa da tenere a mente è che ogni persona – pur se accomunata dalla stessa patologia - è differente, dunque è bene valutare la propria personale tolleranza a ognuno di questi alimenti. Per il resto, per chi non riscontra problemi e non ha stenosi intestinali, in fase di remissione è possibile seguire un classico regime alimentare di stampo Mediterraneo, che comprende frutta e verdura e persino un bicchiere di vino rosso al giorno(1)!
Articolo scritto e pubblicato per "BenessereSalus"
FONTI:
Forbes A. et al. ESPEN guideline: Clinical nutrition in inflammatory bowel disease, in Clinical Nutrition 36 (2017) 321e347.
Valletta E. e Fornaro M. Malattie infiammatorie croniche intestinali, in Quaderni acp 2013; 20(1): 3-15.
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