Salute dal sole: la vitamina D
- Elena Ferrero
- 30 dic 2017
- Tempo di lettura: 6 min
Negli ultimi anni il numero di studi che indagano il ruolo della vitamina D nel nostro organismo, al di là dell’ormai ben nota azione sulla salute del sistema muscolo-scheletrico, sono aumentati in modo esponenziale. Il termine “vitamina D” non identifica una sostanza sola, ma fa riferimento a un gruppo di molecole liposolubili, cioè solubili nel grasso. Si pensi che ad oggi sono stati descritti più di 50 diversi metaboliti (vale a dire sostanze derivanti dalla sua trasformazione) della vitamina D, ognuno di essi con un certo grado di attività biologica (ossia, capacità di avere un effetto). Il suo ruolo principe nell'organismo - quello di regolare il metabolismo di calcio e fosforo - la fa assomigliare più a un ormone che a una vitamina come le altre. Le due forme principali sono la D3 (colecalciferolo) – la forma sintetizzata dall'uomo o derivante da prodotti di origine animale - e la D2 (ergocalciferolo) – sintetizzata, invece, da piante e funghi. Entrambe le forme possono essere ottenute, in quantità tendenzialmente modeste, dalla dieta. Le fonti alimentari principali sono i pesci grassi (come sgombro, salmone, e aringa) l’olio di fegato di pesce (in particolare il famigerato olio di fegato di merluzzo), ma anche il burro e il tuorlo d’uovo. Attualmente le maggiori quantità vengono assunte con i cosiddetti “cibi fortificati” (ossia alimenti di uso comune a cui la vitamina D è stata aggiunta, di solito in seguito a politiche sanitarie di un paese), come i cereali per la colazione o il latte, e con gli integratori (anche chiamati supplementi). La modalità predominante con cui l’uomo ottiene vitamina D, tuttavia, è attraverso l’esposizione della pelle ai raggi UV. Proprio l’esposizione al sole, infatti, potrebbe bastare – in teoria – a coprire interamente il nostro fabbisogno di vitamina D. Il corpo, fra l’altro, è in grado di immagazzinare (nel fegato e nel tessuto adiposo) la vitamina ottenuta nei mesi estivi, garantendo una certa riserva per i mesi invernali. Tutto nell'organismo è finemente regolato. Se infatti l’esposizione al sole è eccessiva, la vitamina D viene convertita nelle sue forme inattive, come meccanismo protettivo contro la tossicità derivata dal suo eccesso. A questo proposito, l’assunzione di vitamina D attraverso la dieta è particolarmente importante in quelle zone dove l’insolazione è scarsa, soprattutto avvicinandoci alle zone polari (le cui popolazioni, per fortuna, hanno un’alimentazione ricca di pesce e latticini). È probabile che la carnagione chiara dei popoli nordici rappresenti proprio una forma di adattamento, al fine di assicurare una maggiore efficienza nello sfruttare la poca luce solare disponibile (al contrario, l’intensa pigmentazione tipica delle popolazioni tropicali impedisce a buona parte della radiazione ultravioletta di raggiungere le cellule dell’epidermide, nelle quali si forma la vitamina).

Come sappiamo, però, gli stili di vita attuali fanno sì che passiamo la maggior parte del nostro tempo al chiuso e la carenza di vitamina D (in particolare nei mesi invernali) sembra essere un problema comune a moltissime popolazioni (in particolare negli anziani e nei neonati). Ad averne i fabbisogni maggiori sono neonati, bambini e donne gravide o in allattamento, ma attenzione a dosarne bene la quantità (se si utilizzano integrazioni), perché l’eccesso è tossico per l’organismo e può portare alla calcificazione di tessuti molli come polmoni e reni.

La carenza prolungata di vitamina D in passato provocava nei bambini il rachitismo, malattia che determina uno sviluppo non corretto delle ossa. Questo poiché la vitamina D è fondamentale per la regolazione del metabolismo del calcio (minerale essenziale per l’accrescimento osseo) e la sua carenza ne impedisce l’assorbimento a livello intestinale. Descritto per la prima volta nel 1645, il rachitismo è stato sempre considerato una malattia delle classi povere che risiedevano in città: verso la fine del XIX secolo, l’80% dei bambini di Londra ne mostrava i sintomi. Nonostante qualche esperto già supponesse che la malattia fosse dovuta a carenza di luce solare, la si attribuiva alla sifilide o a patologie ereditarie. Il fatto che povertà e privazioni alimentari potessero essere anch'esse “ereditarie” sfuggì all'attenzione. Fin dal 1848 presso l’Ospedale di Manchester, si iniziò a usare come cura l’olio di fegato di merluzzo, ma la maggior parte dei medici rimase scettica fino agli anni ’20.
Nell'adulto, il cui scheletro non è più in accrescimento, la carenza di vitamina D può portare invece a una patologia nota come osteomalacia, oggi riscontrabile prevalentemente in donne che – per motivi religiosi - indossano il velo integrale (la cui pelle, dunque, vede poco la luce del sole) o in pazienti con insufficienza epatica o renale. Per essere convertita nella sua forma attiva, infatti, la vitamina D deve essere sottoposta nel corpo a due step – che avvengono proprio nel fegato e nei reni - di idrosilazione (reazione effettuata da enzimi specifici). Recentemente, questi stessi enzimi (e anche il recettore per la vitamina D) sono stati identificati in un ampio numero di cellule (fra cui quelle dell’osso, della placenta, della prostata, del sistema immunitario, del colon, del pancreas e del cervello), suggerendo che tale vitamina potrebbe essere coinvolta nel funzionamento di molti altri tessuti! Inoltre, studi genetici hanno mostrato che la vitamina D potrebbe essere implicata nella regolazione di ben il 5% del genoma umano. Nei decenni scorsi sono stati condotti più di 1600 studi sulla vitamina D, di cui più della metà è costituita da studi di coorte o osservazionali che dimostrano un’associazione fra la carenza di questa vitamina e una serie di disordini acuti e cronici (ad esempio le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, le fratture, la depressione e le infezioni del tratto respiratorio, ecc.). Tutto ciò ha avvalorato l’ipotesi che l’integrazione con vitamina D (un intervento ampiamente disponibile, a basso costo e per la maggior parte senza effetti avversi) potrebbe curare o addirittura prevenire questi disordini. Tuttavia, è bene sempre ricordare che “associazione” non significa automaticamente “causa”. In altre parole, il fatto che la carenza della vitamina si associ a diversi disordini non vuol dire che somministrare integratori della vitamina a un individuo possa curare o prevenire quella patologia. La supplementazione con vitamina D per la cura e la prevenzione di varie malattie ha riguardato un amplissimo numero di condizioni, ecco un breve riassunto dei risultati delle ultime revisioni sistematiche in materia. Partiamo con le notizie positive: sembra che la supplementazione con vitamina D possa ridurre il numero di cadute fra gli anziani e, in generale, l’incidenza di fratture (qualora sia associata anche a supplementazione con calcio). Tuttavia, l’integrazione non sembra diminuire il rischio di malattie cardiovascolari né previene il diabete di tipo 2. Allo stesso modo, non ci sono abbastanza evidenze per supportare la supplementazione al fine di regolare la pressione sanguigna. Discorso simile vale per il sovrappeso: la correlazione fra obesità e bassi livelli di vitamina D è ben documentata, ma gli studi non supportano un effetto della supplementazione con vitamina D sulla perdita di peso. È stato indagato anche il suo effetto sulla prevenzione e cura delle patologie infettive delle vie respiratorie e i risultati sono stati contrastanti: sembra comunque non avere effetti nella prevenzione delle stesse nelle popolazioni occidentali, ma potrebbero esserci benefici nei bambini con gravi carenze nei paesi in via di sviluppo. Interessante il legame con il benessere psichico: l’integrazione in pazienti con depressione ha dato, tuttavia, risultati contrastanti e, per ora, non può essere raccomandata. Allo stesso modo, non vi è ancora consistente evidenza che la supplementazione possa prevenire o curare l’artrite reumatoide. Per quanto riguarda la sclerosi multipla, sembra che l’integrazione non fornisca benefici clinici nel suo trattamento, ma gli studi sono ancora pochi. Per quanto riguarda le patologie tumorali, il grande studio europeo EPIC ha mostrato che le persone con i più alti livelli di questa vitamina nel sangue hanno un rischio di cancro al colon inferiore di circa il 40% rispetto a chi invece ne è carente. Un legame simile sembra esistere anche per altri tipi di tumori. Secondo i risultati di altre ricerche, come la Women's Health Initiative statunitense, però, l'assunzione di supplementi non sembra conferire alcun effetto protettivo. Si può quindi ipotizzare che alti livelli di questa vitamina nel sangue non siano direttamente responsabili del minor rischio, ma semplicemente rispecchino stili di vita più sani a cui va attribuito il merito di proteggere l'individuo dal cancro. Gli studi sulla mortalità (per tutte le cause), invece, sembrano indicare che la supplementazione con vitamina D (in particolare la D3) riduca la mortalità (anche se di poco), soprattutto nelle persone al di sopra dei 70 anni. Interessante il fatto che tali revisioni non consiglino di effettuare di routine l’esame dei livelli della vitamina (come invece si tende a fare ultimamente), ma solo in caso di reale necessità, poiché i saggi possono essere molto variabili e sono per di più abbastanza costosi. Inoltre, i limiti fra carenza e sufficienza usati dai laboratori non sono per ora né standardizzati né basati su studi scientifici rigorosi. Si ritiene per questo motivo che l'attuale numero di individui con carenza potrebbe essere sovrastimato. La supplementazione nell’adulto, comunque, è in generale sicura. In conclusione, il consiglio è quello di cercare di passare più tempo all'aria aperta e fare il pieno di questa importante vitamina, ne gioverà la salute del corpo e della mente!
Articolo scritto e pubblicato per "Benessere Salus"
Fonti:
Allan G.M. et al. (2016) Vitamin D: A Narrative Review Examining the Evidence for Ten Beliefs, in J Gen Intern Med 31(7):780–91. DOI: 10.1007/s11606-016-3645-y
Herrmann M. et al. (2017) Assessment of vitamin D status – a changing landscape, in Clin Chem Lab Med 55(1): 3–26.
Rejnmark L. et al. (2017) Non-skeletal health effects of vitamin D supplementation: A systematic review on findings from meta-analyses summarizing trial data, in PLoS ONE 12(7):e0180512. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0180512
Coultate T. P. (2005) La chimica degli alimenti. Ed. Zanichelli, Bologna.
www.airc.it
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